PROGRAMMI
OCCUPAZIONALI SOTTO ACCUSA
Risponde Nicola Giambonini, Capo Ufficio Cantonale
del Lavoro
A cura di Roby
Noris
Il 75% del costo dei PO si spenderebbe ugualmente in indennità di disoccupazione;
probabilmente anche l'altro 25% indirettamente sotto altre voci contabili!
Critiche ai Programmi Occupazionali (PO) per i disoccupati da parte di chi vede
pericoli di concorrenza all'economia privata con il denaro pubblico visto che
questi programmi sono sussidiati dalla confederazione (UFIAML) nel quadro della
legge federale (LADI). Costano troppo e non ricollocano i disoccupati: è
l'altra critica, quasi un luogo comune, a cui però bisogna rispondere
con dati e fatti concreti. Caritas Ticino risponde con il suo PO "Mercatino"
che dal 1988 ha già accolto 1300 disoccupati in una quindicina di attività
artigianali e industriali in quattro sedi in Ticino che oggi offrono 150 posti
di lavoro. Senza fare concorrenza a nessuno questo PO riesce ad avere introiti
dalle attività di circa 20% dei costi di gestione, un milione e mezzo
di entrate dalle attività l'anno scorso. E sempre l'anno scorso il 25%
di coloro che hanno ultimato il programma ne sono usciti con un posto di lavoro
stabile.
Le telecamere di Caritas Insieme hanno voluto indagare fra gli addetti ai lavori,
per offrire qualche spunto di riflessione a chi vuole capire meglio cosa siano
e cosa servano i PO partendo dalle critiche, fondate o no che siano.
Eccovi alcuni stralci del servizio andato in onda nell'emissione del 15 novembre.
La parola a Nicola Giambonini capo Ufficio Cantonale del Lavoro, che autorizza
e segue da vicino da molti anni tutti i Programmi Occupazionali realizzati in
Ticino.
Nicola Giambonini: Abbiamo bisogno di misure per i disoccupati e l'obiettivo
prioritario è il reinserimento professionale. Per arrivare a questo scopertine/copo,
a questo obiettivo, è evidente che sarebbe più intelligente organizzare
delle misure che permettano di rispondere ai bisogni del mondo del lavoro. Per
farlo, necessariamente bisogna entrare in attività, in settori, che fanno
in qualche modo concorrenza all'economia privata. Se volessimo evitare completamente
questa concorrenza, andremmo in settori che non sono ancora esplorati, e ve
ne sono, ma sostanzialmente queste attività, svolte in questi programmi,
porterebbero magari ad un beneficio sociale, ma non ad un'utilità immediata
sull'individuo, sul singolo che partecipa al Programma Occupazionale. Dunque
noi cerchiamo di organizzare programmi che nella misura del possibile rispondano
a dei bisogni del mercato. Stiamo vivendo un momento dove da più parti
si criticano le misure del mercato del lavoro, in particolare i Programmi Occupazionali.
Ma queste critiche che per adesso sono purtroppo solamente negative: spero possano
diventare costruttive nel prossimo futuro e che ci possano portare ad una situazione
dove anche la parte padronale possa vedere nel PO un'opportunità di sviluppo,
un'opportunità di creare del lavoro per le ditte stesse. Vi sono degli
esempi, purtroppo sono ancora pochi, ma vi sono dei progetti che sono riusciti,
grazie a dei fondi pubblici, grazie al lavoro dei disoccupati, a muovere una
serie di altri progetti conseguenti che hanno poi dato lavoro a delle imprese,
a delle aziende. E questo é un esempio magnifico di collaborazione fra
disoccupati e datori di lavoro, fra pubblico e privato. Questo ha creato effettivamente
delle opportunità.
Abbiamo degli esempi dove il PO si è interrotto e poi l'attività
è continuata da sola. Vuol dire che probabilmente nessuno si sarebbe
messo a sondare delle possibilità di lavoro in quel settore, in quella
piccola nicchia di mercato perché avrebbe voluto dire uno spreco di energie,
magari anche di risorse finanziarie troppo elevate rispetto all'obiettivo che
si voleva ottenere. Con un programma questo è invece possibile perché
si spendono dei soldi pubblici che in altro modo sarebbero comunque spesi per
lasciare inattive le persone a casa. Sono ancora pochi, ne convengo, si contano
sulle dita di una mano i progetti che hanno cominciato come PO e adesso danno
lavoro, un lavoro vero, a delle persone. Però questa è un'opportunità
che secondo me non bisogna escludere, anzi bisogna sviluppare il più
possibile.
Il più grosso malinteso sui programmi è quello del loro costo.
Girano cifre, la gente parla, si spendono x milioni di qua, x milioni di là.
Pochissimi hanno capito che il 75% di quelle cifre si spenderebbe comunque,
perché si spenderebbe in indennità di disoccupazione e i disoccupati
starebbero a casa. E probabilmente quel 25% che non si spenderebbe direttamente
si finirebbe per spenderlo da un'altra parte, perché chi sta a casa va
dal dottore, non sta bene, non esce di casa, oppure esce ma va al bar. Finiamo
per pagare le stesse cifre ma sotto altre voci contabili.
Roby Noris: in orticoltura il PO di Caritas Ticino sostiene
il mercato orticolo Ticinese ad esempio anticipando la produzione di alcuni
prodotti quando non sarebbe economicamente possibile per gli orticoltori ticinesi;
questa "apertura del mercato" limita l'importazione estera favorendo
il mercato orticolo ticinese oltre Gottardo. È un esempio dove un PO
Invece di fare concorrenza addirittura favorisce il mercato locale. Mi si è
obìettato che così facendo con il denaro pubblico si sta finanziando
indirettamente un settore privato e che in fondo anche altri potrebbero pretendere
di essere sostenuti analogamente. Cosa pensi di questa preoccupazione.
Risposta di N. Giambonini: È un argomento che può
facilmente essere strumentalizzato. Si può vedere in questo un intervento
intollerabile dello Stato che va a finire a copertine/coprire tutto e a distruggere l'economia
privata o l'iniziativa privata. Ma si può vedere invece un modo intelligente
di spendere i soldi pubblici per evitare, da una parte di perdere ancora posti
di lavoro in certi settori, e dall'altra cercare di crearne dei nuovi. Penso
che la verità stia nel mezzo e bisogna fare attenzione a non scivolare
verso un'economia pianificata, perché sarebbe comunque distruttivo. Sinceramente
è un po' una tendenza preoccupante che si sta verificando in tutto il
mondo dell'assicurazione sociale in Svizzera e dell'assicurazione disoccupazione
in particolare. Sempre di più ci si mette fra datore di lavoro e disoccupato,
fra lavoratore e datore di lavoro con un aiuto all'assunzione, con sussidi,
con incentivi che a mio modo di vedere stanno diventando troppi; diventa complicato
capire a cosa abbia diritto un datore di lavoro se assume questo disoccupato,
se assume quell'altro, se ha questa caratteristica, se non ce l'ha. Il datore
di lavoro oggi vuole semplicità, vuole capire, vuole una legge trasparente
e semplice, e questa non è certamente la legge sull'assicurazione disoccupazione.
Dunque ad un certo punto bisognerebbe intendersi se gli aiuti e gli incentivi
sono effettivamente indirizzati all'occupazione oppure all'economia in senso
più generale. Allora gli strumenti e gli interventi si dovrebbero fare
in un altro modo, dovrebbero avvenire attraverso agevolazioni fiscali, bonus
diretti alle aziende. Sarebbe più trasparente addirittura.
Devo dire che avendo contatti regolari con i datori di lavoro, mi sento sempre
più spesso dire: noi cerchiamo sì la qualifica, ma la qualifica
può passare in secondo piano quando ci troviamo davanti a una persona
veramente motivata al lavoro, che ha voglia di imparare e che ha il potenziale
per imparare, intendiamoci. È meglio poter arrivare da un datore di lavoro
con il biglietto da visita "ho lavorato negli ultimi sei mesi", piuttosto
che "da un anno e mezzo sono a casa a non fare niente". Con la conseguenza
di aver perso non solo le competenze professionali tecniche, ma anche le competenze
sociali, la possibilità di entrare in relazione con gli altri, questa
forse è la cosa più grave.
Raccogliere pomodori all'Isola Verde presso il Programma Occupazionale di Caritas,
è un'attività che alcuni potrebbero definire inutile, dal punto
di vista dell'inserimento professionale del disoccupato. lo devo dire che mettendomi
nei panni del datore di lavoro che deve assumere un operaio parliamo sempre
di livelli di qualifica medio bassi preferisco e andrò senz'altro a scegliermi
la persona che ha dimostrato che ha la capacità di lavorare, che ha la
testa per lavorare, che è capace di alzarsi la mattina alle cinque e
finire la sera tardi, di fare un lavoro duro anche se fondamentalmente avrebbe
potuto trovare la strada per evitarlo, per svicolare, e invece non l'ha fatto.
Questo è il segnale più grosso che si può dare ad un datore
di lavoro. Questo potrebbe aprire delle strade. In Ticino ci sono possibilità
di lavoro, in certi settori, nell'industria, nel settore alberghiero. Però
la gente deve anche cambiare mentalità. Si rifiutano questi posti di
lavoro perché sono giudicati di terza, o di quinta o di decima categoria,
la gente scappa da questi settori.